Tragedia nel carcere di Ancona, il grido di soccorso è stato tardivo: dolore per la famiglia che aveva chiesto aiuto a Ilaria Cucchi.
«Se mi portano di nuovo giù mi impicco. Non ce la faccio più, ho paura»: in questo breve e concitato messaggio di aiuto, il 23enne Matteo Concetti aveva provato ad avvertire la mamma della tragica situazione che stava per incombere.
Diverse patologie psichiatriche diagnosticate negli anni e un turbolento passato recente lo avevano portato nel carcere Montacuto di Ancora, dove avrebbe dovuto scontare la pena residua di 8 mesi per aver commesso reati contro il patrimonio.
Errori che aveva pagato a caro prezzo nei precedenti due anni, in cui il ragazzo marchigiano era stato destinato a comunità terapeutica alternata alla detenzione con obblighi da rispettare. Poi, il ritardo di un’ora sul rientro a casa lo ha condannato alla galera da scontare fino a fine pena.
Da quella galera però, non ci sarebbe più uscito vivo: un lenzuolo attorcigliato alla gola nel bagno della sua cella è bastato per mettere la parole “fine” ad una tormentata esistenza.
«Mio figlio non può stare in carcere, ha bisogno di cure, mi aiuti o si ucciderà»: così Roberta Faraglia, mamma del 23enne, aveva provato a chiedere aiuto a guardie, infermieri, cappellano e perfino alla senatrice Ilaria Cucchi, per una situazione che si aggravava ogni giorno di più.
Aiuto che Ilaria, da sempre esempio e paladina per i diritti dei detenuti, non è purtroppo riuscita a dare in tempo alla famiglia Concetti, avendo ricevuto il disperato messaggio a poche ore dal tragico evento. Tempo che ora è scaduto.
Quella che si è rivelata una tragedia annunciata deve trasformarsi in monito per non sottovalutare mai più le patologie psichiatriche: è il succo del discorso di Francesca Petruzzo, presidente della Camera Penale di Ancona, che si schiera a favore di un’attenzione più coscienziosa per i casi analoghi a quelli di Matteo.