Continua il botta e risposta a distanza tra Alessia Pifferi e la sorella Viviana, accusata dall’indagata di responsabilità oggettive nei suoi confronti.
Lunedì 13 maggio: è questa la deadline che decreterà il futuro di Alessia Pifferi, la donna accusata per la morte della figlioletta Diana, morta di stenti ad appena 18 mesi di vita. Tra due giorni sapremo infatti la sentenza che il giudice avrà riservato all’imputata, la quale continua ad accusare la famiglia di aver ignorato i suoi disturbi.
Ma Viviana Pifferi, sorella di Alessia, continua a rigettare questa versione. Lo ha fatto in collegamento con ‘Storie Italiane’, dove ha continuato a difendere sé stessa e i suoi congiunti dalle accuse fatte in aula da Alessia, sostenuta dal legale.
Le sue parole: “Io non l’ho mai odiata, le ho semplicemente fatto capire che stava vivendo in maniera sbagliata”. Poi conferma che per la sorella c’era sempre “un tetto dove stare, che era la casa mia e di mamma, quindi dove è questo odio?“.
“Io le ho detto più volte di lasciarmi sua figlia, non l’ha mai voluto fare”, prosegue poi rivolgendo un pensiero alla nipotina e alla sua tragica fine.
Viviana ha poi proseguito il suo amaro discorso, ribadendo che “Lei viene in tribunale truccata e vestita, ride e mangia i cioccolatini: io non riesco a guardarmi più allo specchio mentre lei riesce”. Quindi, auspicando una presa di coscienza da parte della sorella: “Lei deve prendere coscienza di ciò che ha fatto, non so se la sua è una strategia ma le accuse verso gli altri stanno facendo male alle altre persone”.
Quindi, smonta anche la tesi dei disturbi psicologici e la presunta mancanza di intendere e di volere: “Lei la sera dell’interrogatorio ha risposto che sapeva che poteva succedere qualcosa a sua figlia, quindi non è vero che la sua testa si è spenta nel ruolo di mamma”.
Più nello specifico: “Quale mamma stacca il cervello dal ruolo di mamma? L’istinto materno è fuori dal normale, è incontrollabile, anche se sei a 200 km da tuo figlio, anche se ha 20 anni. Io ero qui a sette minuti da casa di mia mamma, bastava una telefonata“.