Ex vigilessa uccisa, ecco cosa ha rivelato l’autopsia fatta sul corpo della donna
Sono stati resi pubblici i risultati dell’autopsia sul cadavere di Sofia Stefani, l’ex vigilessa di 33 anni uccisa con un colpo di pistola nella caserma di Anzolo.
Sono stati finalmente resi pubblici i risultati dell’autopsia disposta sul corpo di Sofia Stefani, l’ex vigilessa di 33 anni uccisa nella caserma di Anzola dall’ex comandante Giampiero Gualando. Era stato l’uomo a dare l’allarme, raccontando come, mentre era nella stanza insieme alla donna intento a pulire la sua pistola d’ordinanza, un colpo partito accidentalmente aveva finito per colpire la Stefani.
Gli inquirenti però hanno iniziato fin da subito a sospettare del racconto reso dall’ex comandante, e dopo appena un giorno di indagini, in cui è emerso che i due erano stati legati da una relazione sentimentale che si era conclusa da poco, l’uomo era stato arrestato e portato in carcere con l’accusa di omicidio volontario.
E proprio durante l’interrogatorio che si era svolto in carcere, Gualandi aveva cambiato versione, affermando che il colpo era partito, non mentre stava pulendo l’arma, ma a seguito di una colluttazione avuta con la donna. E adesso l’autopsia ha rivelato che la Stefani è morta a causa di un colpo di pistola, partito dal basso verso l’alto, che l’ha colpito allo zigomo sinistro.
Dopo i risultati dell’autopsia, gli inquirenti attendono adesso la perizia balistica
Adesso, le forze dell’ordine attendono anche la perizia balistica per avere un quadro più completo della dinamica che ha portato alla morte dell’ex vigilessa. Nell’ordinanza di custodia cautelare con cui è stato disposto l’arresto dell’ex comandante, il giudice ha anche spiegato che l’omicidio potrebbe essere stato causato dallo stress e dall’esasperazione di cui Gualandi si lamentava nelle chat con la Stefani.
L’ex vigilessa non accettava infatti la fine della loro relazione, e aveva continuato ad assillarlo. Il giorno prima di essere uccisa, risulta che la 33enne aveva provato a chiamare Gualandi per ben tredici volte. Una situazione che secondo il giudice, potrebbe aver spinto l’uomo a compiere questo estremo gesto, per poi crearsi un alibi sostenendo che si fosse trattato di un incidente avvenuto mentre era intento a pulire la pistola d’ordinanza.