Yara Gambirasio, i familiari presentano un esposto contro la serie Netflix
L’avvocato della famiglia Gambirasio ha spiegato come i genitori non abbiano gradito e approvato la diffusione di alcuni audio privati nella serie.
La famiglia Gambirasio ha deciso di presentare un esposto contro la serie Netflix “Il caso Yara – Oltre ogni ragionevole dubbio”. Una serie uscita o scorso anno che ha generato diverse polemiche nel nostro paese, con molti che l’hanno criticata sostenendo che volesse fornire, in modo fazioso, una versione fin troppo innocentista tesa a scagionare agli occhi del pubblico Massimo Bossetti, l’uomo arrestato e condannato per l’omicidio della 13enne di Brembate.
Il motivo per cui la famiglia di Yara Gambirasio ha deciso di portare la questione davanti al Garante della Privacy, riguarda la diffusione di alcuni audio privati all’interno della serie. Come hanno spiegato i legali ai microfoni di Fanpage: “Ci siamo già mossi e abbiamo presentato l’esposto, adesso vedremo cosa dirà il Garante della Privacy. I genitori non hanno apprezzato il fatto che siano stati pubblicati gli audio. Non posso riferire cosa hanno detto, ma gli hanno dato molto fastidio perché sono messaggi personali che non hanno avuto alcuna attinenza con le indagini. Non erano stati neanche trascritti in Corte d’Assise. E sono stati trasmessi in tutto il mondo”.
Spetterà adesso al Garante stabilire se davvero sia stata violata la riservatezza della famiglia della vittima e se quelle registrazioni pubblicate, che hanno sconvolto il pubblico, dovessero invece restare private.
Il ritrovamento del cadavere di Yara Gambirasio
Il cadavere di Yara Gambirasio venne ritrovato il 26 Febbraio del 2011, tre mesi dopo la sua scomparsa, in un terreno a Chignolo d’Isola, a pochi chilometri da Brembate.
Era stato un passante a fare questa macabra scoperta e ad avvertire subito le forze dell’ordine. Le prime analisi sul cadavere fecero emergere come la 13enne era stata colpita con dei colpi di spranga, oltre a diverse ferite di arma da taglio sul corpo e un trauma cranico. Ma la svolta nelle indagini arriverà soltanto tre anni dopo con l’arresto di Massimo Bossetti, identificato grazie ad una traccia di Dna trovata sul corpo della 13enne dagli inquirenti.